Nella mia esperienza di lavoro nel servizio di Sportello di ascolto psicologico presso l’I.P.S.S.E.O.A. "Via A. De Gasperi, 8" (Alberghiero) a Palombara Sabina, all’interno dello spazio GPS nell’ambito del progetto L’Atelier koinè, un aspetto ricorrente e apparentemente sorprendente con il quale mi sono confrontato ha riguardato le enormi difficoltà relazionali emerse in certe specifiche classi, accomunate dalla caratteristica di essersi formate in questi ultimi due anni che, notoriamente, sono stati caratterizzati da un uso preponderante della didattica a distanza rispetto a quella in presenza.
I ragazzi e le ragazze di queste specifiche classi hanno avuto ben poche occasioni di passare del tempo insieme all’interno di un contesto fisicamente condiviso come quello di un’aula fisica, e quindi hanno avuto meno occasioni di sperimentarsi in relazioni interpersonali dove solitamente è presente il contatto che, sostanzialmente, rappresenta un’esperienza fondamentale nella definizione sociale degli adolescenti (e non solo).
Probabilmente l’impossibilità di stabilire legami e interazioni con un luogo fisico (che è anche mentale) ha portato gli adolescenti a sperimentare una maggiore solitudine; inoltre è stato sicuramente più complesso stabilire quelle relazioni significative tra pari dove il collante è la fiducia reciproca, perché è mancata proprio la conoscenza dell’altro che si compone di contatti continui, messe alla prova, sguardi, e un mondo di altri aspetti relazionali che sicuramente non passano attraverso una piccola finestrella all’interno di un freddo monitor.
Se ci pensiamo, sono venute meno tutta una serie di abitudini consolidate nel tempo che riguardano la quotidianità della scuola, l’incontro e lo scambio con i compagni, l’affrontare insieme le difficoltà scolastiche, l’interazione con gli insegnanti. Tutto ciò contribuisce alla formazione di quella che potremmo chiamare una coscienza collettiva dalla quale deriva anche una crescita psico-emotiva condivisa. Ne consegue che tutti questi ragazzi non si sono conosciuti abbastanza per poter sviluppare una relazione significativa di fiducia e si ritrovano attualmente a dover fare una sorta di doppio lavoro interpersonale, in quanto da una parte viene loro richiesto dalla società e dalle istituzioni di sentirsi parte di un gruppo classe ormai formato, e dall’altra devono fare i conti con questo scollamento dal loro vissuto che, di contro, li fa sentire tra loro degli sconosciuti.
Anche l’uso della mascherina non ha aiutato nella costruzione di legami interpersonali significativi in quanto limita fortemente la possibilità di codificare i propri stati emotivi e di decodificare quelli altrui.
Sappiamo che la comunicazione non verbale è molto più potente rispetto a quella verbale, e che i messaggi emotivi comunicati attraverso il canale non verbale costituiscono una parte fondamentale nella costruzione delle relazioni. Certo, abbiamo ancora la possibilità di comprendere in parte lo stato emotivo dell’altro osservando la parte del viso scoperta, che comprende gli occhi e la fronte, oppure facendo attenzione alla postura di chi abbiamo di fronte, ma sicuramente in un contesto così delicato come può essere quello di una classe di studenti a scuola, in un momento particolare come quello della conoscenza iniziale del gruppo, ha contribuito a delineare alcuni quadri di fragilità personali.
Cosa si può fare allora? Innanzitutto a mio avviso questi ragazzi andrebbero rassicurati sul fatto che per costruire relazioni significative ci vuole tempo e sono necessarie alcune condizioni, come ad esempio la condivisione di uno spazio fisico e la possibilità di sperimentare il contatto con l’altro, che purtroppo a loro sono mancate; anzi, andrebbero incentivati nello sperimentare di nuovo la gioia della socializzazione in una coralità di gruppo.
Sarebbe anche opportuno organizzare delle attività laboratoriali ed extracurricolari che facilitino la creazione all’interno delle classi di un clima di fiducia, comprensione, collaborazione e fiducia; insomma andrebbero invogliati a “giocare” tra loro per sperimentarsi come agenti attivi nella costruzione di questo spirito di gruppo. Un ulteriore strumento che può risultare utile in tal senso è l’utilizzo del circle-time attraverso il quale il gruppo assume la forma in circolo affinché tutti possano sentirsi parte di un team e per dare modo a ciascun componente di cogliere i feed-back dell’altro sperimentandosi sia nella comunicazione verbale che in quella non verbale.
La scuola, infine, non può fare tutto da sola, ma può sicuramente fungere da collante tra famiglie, istituzioni e organizzazioni di territorio per contribuire alla formazione della cosiddetta “Comunità educante” attraverso la quale la rete sociale nel suo insieme può dare sostegno e risposte a studenti e famiglie in un periodo storico-sociale così complesso come quello attuale.
Dott. Gianni Girolami